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Festad'AfricaFestival 2004 - Terza edizione


Lunedì 21 giugno ore 19,00
     

Rwanda, per non dimenticare.
A dieci anni dal genocidio la necessità di giustizia e la ricostruzione del dialogo.

Fondazione Adriano Olivetti - Via Zanardelli 34

Proiezione del video “Le parole delle Anime"
di Andrea Canetta
Svizzera-Rwanda 2001, durata 68 min.
Produzioni Radiotelevisione Svizzera Italiana


Il film si apre con la testimonianza di un uomo cui è stata sterminata la famiglia e che, nonostante tutto, dice di non riuscire ad odiare gli assassini e resta in una chiesa di Kigali per tenere pulito ed onorare la memoria delle vittime. Poi lo scenario cambia, dal Rwanda ci si sposta a Ginevra dove alcuni sopravvissuti allestiscono una rappresentazione teatrale, “Rwanda 94”, in cui mettono in scena la terribile esperienza che li accomuna, per elaborare un lutto insopportabile ma anche per denunciare le responsabilità delle autorità rimaste sorde di fronte allo sterminio.

A seguire dibattito aperto.
Intervengono
Daniele Scaglione, autore di “Istruzioni per un genocidio. Rwanda: cronache di un massacro evitabile (Ed. Gruppo Abele)
Jean Pierre Ruihgisha, Presidente della Comunità Rwandese a Roma,
Alphonse Kalisa rappresentante della comunità rwandese
Modera: Elena Doni, giornalista e scrittrice


Mostra Fotografica “Le Ferite del Silenzio
fotografie di Alain Kazinierakis e testimonianze raccolte da Yolande Mukagasana.


Yolande Mukagasana, infermiera tutsi, è riuscita a sfuggire alla morte per miracolo. E’ stata salvata da una donna hutu. Purtroppo la stessa sorte non è toccata a suo marito, ai suoi tre figli e al resto della famiglia: tutti massacrati senza pietà.
Ma Yolande non ha voluto cedere all’istinto della vendetta. Ha voluto reagire, ha iniziato un lungo, faticoso lavoro dentro se stessa e con i protagonisti di questa tragedia. Per capire.
Rifugiata in Belgio, dapprima ha scritto un libro per raccontare al mondo la sua storia: “La morte non mi ha voluta” (pubblicato anche in italiano da “La Meridiana”). Poi, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, è tornata nella sua terra cinque anni dopo per incontrare gli attori del dramma e ne ha raccolto le testimonianze. Yolande è tornata in Rwanda con il fotografo Alain Kasinierakis. Ne sono nati 45 ritratti e altrettante interviste.

 

Domenica 27 giugno ore 19,00
     

Musica e commercio equo-solidale in Senegal.
L'esperienza del progetto "Music Rekk".

Video, dibattito e presentazione di cd musicali realizzati dal commercio equo-solidale in Senegal. In collaborazione con Associazione toniCorti e Cooperativa la Tortuga

Tearo Vascello, Via G. Carini 78

Proiezione del video-documentario “Dio era un musicista
di C. De Ritis, A. Segre, M.Grechi
prodotto da toniCorti con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili del Comune di Padova ed il patrocinio della Regione Veneto. (40 min.)

Le storie e la vita quotidiana dei musicisti coinvolti nel progetto “music rekk” si intrecciano tra Dakar e Somone, tra Brufut e M’bour: l’hip pop della capitale del Senegal incontra il reggae melodico di Ismael sulle coste del Gambia, gli zykr sui tetti di Parcelle Assainié rincorrono i tamburi guineani del maestro Pakata e la Kora del vecchio griot Sissoko…là dove la musica vissuta quotidianamente con energia e fatica racconta un’altra faccia dell’Africa: la sua complessa spiritualità, l’intreccio tra tradizione modernità, l’incontro tra diverse culture.
Al centro del film la musica, le difficoltà tecniche ed economiche di produzione, ma soprattutto la grande forza di volontà che caratterizza il rapporto tra questi musicisti e la loro arte, da cui nasce l’idea del progetto music rekk.
Un racconto che autori e registi hanno pensato e realizzato con il linguaggio del cinema del reale.

A seguire dibattito aperto.
Intervengono
Stefano Marcato, musicologo e coordinatore del progetto di produzione equo-solidale “Music rekk”
Andrea Segre, Cristina De Ritis, Maddalena Grechi, autori del video-documentario
Pape Syriman Kanouté, griot e musicista senegalese

 

Mercoledì 7 luglio ore 19,00
     

Il Sudafrica dopo 10 anni di democrazia:
riconciliazione, sviluppo e conflitti sociali

Video e dibattito sulla realtà del post-apartheid.

Fondazione Adriano Olivetti - Via Zanardelli 34

Milioni di neri hanno lottato per l'uguaglianza e la giustizia, hanno rinunciato alla vendetta per i crimini subiti ed hanno costruito una democrazia a partire dalla riconciliazione. Oggi a che punto è l'ideale
di liberazione nella "nazione arcobaleno"?

Proiezione del video "Orange Farm Water Crisis"
di J. Mariani, Amex-videoteppista, Chris - Italia, 2003
vincitore del concorso video del Festival dei Diritti 2003 di Ferrara
Orange Farm, il più grande e popoloso insediamento informale del Sudafrica, a sud di Johannesburg. Negli ultimi anni è in corso l'opera di privatizzazione dell'acqua, "appaltata" a una multinazionale francese. Un breve racconto di povertà e di resistenza comunitaria, sullo sfondo del World Summit on Sustainable Development dell'ONU avvenuto nel settembre 2002.

A seguire dibattito aperto.
Intervengono
Giampaolo Calchi Novati, Università di Pavia
Eugenio Melandri, coordinatore di Chiama l'Africa
Giovanna Ricoveri, direttrice di ecologiapolitica.it
Coordina: Michele Citoni, giornalista

Mostra fotografica "Il nuovo apartheid. Degrado urbano e sociale e movimenti di resistenza nelle township di Mitchells Plan e Khayelitsha (Cape Town)"
di Paolo Robazza.
Sarà presente l'autore.

 

 

Approfondimenti
     

Sudafrica: riconciliazione e conflitto

E’ un anno decisamente eccezionale, questo, per il Sudafrica. Ad aprile si sono svolte le elezioni politiche, la terza consultazione elettorale generale tenuta secondo regole democratiche, che ha registrato una schiacciante vittoria dell’African National Congress con quasi il 70% dei consensi. Nello stesso mese è stato celebrato il decennale delle prime elezioni non razziali, che si svolsero il 27 aprile del 1994. L’ultima importante notizia è la scelta del paese di Nelson Mandela, da parte della FIFA, come sede dei mondiali di calcio del 2010, che per la prima volta si svolgeranno in terra africana. Una decisione che molti sudafricani consideravano "dovuta" dopo che il loro paese aveva mancato per un soffio l'obiettivo dell'edizione 2006; essa inoltre costituisce un ulteriore omaggio tributato alla "nazione arcobaleno" e al suo oggettivo ruolo-guida nel continente, e un contributo di particolare significato allo stesso decennale della democrazia: lo sport, e in primo luogo il calcio, ha avuto infatti un ruolo importante nella formazione dell'identità civile e politica delle comunità urbane sudafricane, in stretta connessione con le lotte di base antiapartheid; e d'altra parte va ricordata anche la parte giocata dallo sport nella pressione internazionale contro l'apartheid che fu esercitata attraverso il boicottaggio del regime di Pretoria. Oggi in qualche modo la comunità sportiva internazionale "riconosce" e "risarcisce" il nuovo Sudafrica.

L’atteso film di John Boorman “In my country”, infine, tratto dal libro “Country of my skull” della poetessa Antjie Krog, ha avuto il merito di portare al grande pubblico una vicenda centrale nel processo di transizione dal bestiale regime dell'apartheid alla democrazia liberale, ovvero la straordinaria esperienza delle udienze pubbliche della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, voluta da Nelson Mandela e dall'arcivescovo anglicano Desmond Tutu (entrambi premi Nobel per la pace) e presieduta da quest'ultimo.

Del Sudafrica il cinema ci aveva già raccontato, con film di grande successo, i crimini del regime segregazionista, la lotta di liberazione e il sacrificio di tanti attivisti neri come Steven Biko, ma non aveva ancora narrato il seguito della storia. Dopo le elezioni del 1994, vinte dall'African National Congress, la nuova classe politica nera chiamata a dirigere il paese - per il momento in un governo di unità nazionale insieme ai rappresentanti del vecchio regime - doveva scegliere in quale modo fare i conti con i tremendi crimini razziali commessi negli anni precedenti. Non volendo mettere una pietra sopra il passato, si scelse tuttavia di scartare anche l'ipotesi di una specie di processo di Norimberga, per l'impossibilità tecnica di mettere in piedi un'enorme operazione giuridica penale, per il rischio che questa potesse riaprire lo scontro razziale e perché si ritenne che la priorità fosse giungere alla verità. Verità senza vendetta, verità in cambio di amnistia: fu formata quindi una commissione che chiamò al cospetto delle vittime e dei loro familiari, in udienze pubbliche, tutti coloro che avevano commesso abusi dei diritti umani tra il 1960 e il 1994 (compresa una minoranza di neri), promettendo l'amnistia in cambio di una completa e veritiera confessione dei propri misfatti e a patto che si dimostrasse la loro motivazione politica. I processi penali veri e propri furono fatti invece in alcuni casi nei quali tali condizioni non erano state soddisfatte. Furono più di ventimila le testimonianze e più di mille le amnistie concesse dalla commissione, che lavorò spostandosi in tutto il paese dal '94 al '96. Questo rito collettivo, raccontato dal film di Boorman, ebbe luci e ombre ma riuscì in sostanza nel suo intento, che era quello di dare riconoscimento e dignità al dolore delle vittime, che poteva così essere elaborato e superato, creare una memoria condivisa, uscire dall'epoca della violenza razziale guardando a un futuro di civiltà in nome di un principio superiore, quello che in alcune lingue africane è chiamato "ubuntu": il riconoscimento reciproco di fare parte di una stessa dimensione umana interdipendente. Abbandonata la tentazione di una resa dei conti si scelse dunque la via della verità per raggiungere la riconciliazione.

Il film - una produzione angloirlandese - parla finalmente di tutto questo ma rischia, ancora una volta, di compiere una rassicurante semplificazione, come spesso avviene quando l'occhio del nord del mondo guarda l'Africa. La riconciliazione fa parte di un processo. Non è ritorno all'ordine, pace sociale: essa, lungi dal disinnescare il conflitto sociale, ne è invece la condizione di possibilità, ha reso cioè praticabile un conflitto duro ma civile, che non miri all'annientamento dell'altro. Mentre il paese compie in alcuni campi passi da gigante e allarga l'accesso ai servizi, molti poveri delle township (i ghetti creati dai bianchi e tuttora esistenti, anche se aperti) organizzano azioni di protesta e disobbedienza civile perché subiscono il distacco dell'acqua e dell'elettricità o lo sfratto non avendo i soldi per pagare i servizi privatizzati; un forte movimento dei senza terra occupa i campi incolti sfidando la repressione della polizia e delle guardie private; i sieropositivi lottano per l'accesso gratuito ai farmaci salvavita; i sindacati criticano le privatizzazioni e la distruzione del settore pubblico dell'economia. Tutti costoro praticano il conflitto ma non rinnegano il processo di riconciliazione (né tantomeno hanno "nostalgia dell'apartheid" come è stato scritto stupidamente sul Corriere della Sera); al contrario, sono essi stessi la prova che la riconciliazione era una scelta giusta e ha funzionato, non se ne fanno paralizzare e vanno avanti nella rivendicazione di ciò che era stato loro promesso ("a better life for all"). Invece il film preferisce rimanere a prudente distanza dal tema dei conflitti sociali nel post-apartheid e delle perduranti disuguaglianze della società sudafricana, anche se queste, per alcuni aspetti, sono persino aumentate, a cominciare dal tasso di disoccupazione che ha superato il 40%. Ciò in conseguenza delle politiche economiche neoliberiste elaborate dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, che tendono a imporsi come un processo “oggettivo” dal momento in cui il Sudafrica ha indossato la “camicia di forza dorata della globalizzazione” (come la definisce l’editorialista del New York Times Thomas Friedman) ma sono anche frutto dalle scelte soggettive del governo di Thabo Mbeki e in generale della nuova leadership nera. Un esempio eloquente è il tema della proprietà della terra, che ancora oggi, dopo 10 anni di democrazia, resta per quasi il 90% nelle mani della minoranza bianca che se ne era appropriata con la colonizzazione: la redistribuzione della terra non avviene perché il mezzo scelto, ovvero i meccanismi di mercato, non è fatto per conseguire la giustizia sociale.

La nostra cultura, le stesse coscienze democratiche fanno fatica a vedere questa scomoda complessità: è facile sentirsi migliori dei politici afrikaaner neonazisti che ordinavano di sparare su cortei di giovani neri disarmati, dei poliziotti che torturavano a morte gli attivisti o di quei membri della élite bianca che in regime di apartheid vivevano normalmente come se tutto questo non accadesse; molto più difficile è fare i conti con le responsabilità del nord del mondo - governi "progressisti" compresi - e delle élite locali nei processi globali che condannano il sud alla povertà e perpetuano in altre forme la rapina coloniale (Fanon parlava di “falsa decolonizzazione africana”), svuotando di significato materiale le indipendenze e le democrazie tanto faticosamente conquistate. Non sappiamo che ne è della promessa di riscatto sociale contenuta nella lotta di liberazione e non vogliamo sentircelo dire; preferiamo appagarci di una lettura della liberazione intesa come una lotta vittoriosa contro il razzismo - ideologia di cui sfuggono le basi economiche materiali - e per i diritti civili, un'interpretazione che non dà piena ragione né dell’ordine precedente né dei motivi per cui nel nuovo ordine molti problemi rimangano aperti o peggiorino; preferiamo scaldarci per il mito della liberazione e per i suoi eroi e oggi per questo racconto che, oltre a propinarci un condimento rosa tipicamente hollywoodiano (inevitabile tassa da pagare), consente una facile re-identificazione con i "buoni", ancora più buoni, e si tiene alla larga da problemi che ci interrogherebbero in maniera troppo radicale sul nesso tra democrazia e rapporti sociali. Queste sono parole del tutto fuori moda qui da noi, ma affacciandosi sull’Africa australe ci si rende conto che laggiù il lessico politico, come dire, ringiovanisce. In sostanza nel mediascape la vicenda sudafricana, di fatto archiviata dopo la fine dell'apartheid se non per i riferimenti al “flagello” dell’Aids e per i resoconti dei summit internazionali, viene riscoperta oggi nel segno irenico di un semplicistico perdono, lasciandoci tranquilli perché non dovremo mandare i caschi blu come in Rwanda rischiando la stessa pessima, tragica figura che il nord fece in quel sanguinoso conflitto dopo averne largamente preparato le condizioni. Ma questa è un'altra storia.

Risorse on line per approfondire

Interventi sulla Commissione per la Verità e la Riconciliazione:
www.feltrinelli.it/FattiLibriInterna?id_fatto=235
www.presentepassato.it/Dossier/Diritti_98/14commissione_verita.htm
www.romacivica.net/asssudem/materiali/19980710Boraine.htm
www.comopace.org/lilliput/doc/IlPerdonoLiberaLaVittima-SudAfrica.rtf
www.diario.it/index.php?page=spe.memoria.d04

Il sito della Commissione:
www.truth.org.za


Alcune recensioni, con opposte valutazioni, sul film "In my country" e i siti ufficiali del film:
www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp?idarticolo=7299&idsezione=103&idramo1=103
www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp?idarticolo=7497&idsezione=41

www.filmup.com/countryofmyskull.htm
www.film.it/articoli/2004/05/04/526427.php
www.capital.it/trovacinema/scheda_critica.jsp?idContent=269754
www.countryofmyskull.com
www.inmycountry.it

Ambasciata del Sudafrica (materiali e notizie in italiano):
www.sudafrica.it


Governo del Sudafrica:
www.gov.za


Due video da scaricare in formato avi e alcuni articoli sui problemi sociali del post-apartheid e i nuovi movimenti di protesta:
www.ngvision.org/mediabase/211

www.ngvision.org/mediabase/222
www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2003/0309lm09.01.html
www.zmag.org/Italy/bond-colera.htm

www.ecologiapolitica.it/web2/200301/articoli/m_goldman.pdf
www.deriveapprodi.org/rivista/23/mandela.htm


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